
I personaggi della mia famiglia

Da piccola possedevo due ceste in vimini posizionate nella nostra cucina cariche di giochi. Un angolo della cucina era il mio spazio di mondo. A un metro da quel perimetro vi erano mia nonna Angela che se ne stava seduta su di una sediolina della grandezza per bambini, piccola di statura la chiamavano
“A PAPUZZA” che da noi in Sicilia sta per piccola come una coccinella. Lei la nonna che tutti vorrebbero nata nel 1908, vestita a lutto vita natural durante dopo la morte del marito, saggia, pudica, amorevole. Se io stavo male cosa che non accadeva di rado, finché non fossi stata in grado di alzarmi e mangiare non mangiava neanche lei. Continuava a vivere la sua epoca ai giorni nostri mantenendo una mentalità invalicabile che ha reso difficili i rapporti in quella casa. Ho imparato molto da lei generosità, apprensione e amore incondizionato. Accanto alla sua piccola sedia vi era la sorella la zia Concetta anche lei viveva da noi, un tipetto particolare pretenziosa, poco garbata, ogni tanto tra un attacco di ira e uno di autocommiserazione adorava ascoltare le mie poesie tornata da scuola, ma più delle volte assistevamo a scenate di brontolo-mormorio, ne ricordo perfettamente una di queste dove mancò di rispetto a mia madre a tal punto da far scaturire in me una reazione inaspettata a soli quattro anni, giocavo li accanto con delle pentoline per bambini ad un tratto mi avvicinai, difesi mia madre e le diedi un colpo di quella sulla mano. Il mio gesto eroico però finì con una mia punizione. Insieme le due sorelle battibeccando guardavano i programmi in TV a varie fasce orarie puntuali come un orologio svizzero limitandomi nelle mie attività

Per qualche anno insieme a loro venne a vivere da noi anche il marito della zia Concetta, ,
lo zio Ciccino morì quando avevo solo cinque anni ma lo ricordo benissimo, un uomo molto provato dalle sue esperienze di vita reduce dalla prigionia nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Ricordo la sua matricola tatuata sul braccio e le lacrime che versava quando raccontava e ricordava. Adoravo i suoi baffi, il profumo del tabacco e i suoi completi eleganti della domenica che sfoggiava in giro per il quartiere e tornato a casa metteva della musica in un vecchio grammofono che avevamo nella sala da pranzo e mentre il “quartetto cetra” cantava “un bacio a mezzanotte” lui improvvisava balletti strappandomi grandi sorrisi.

Mio padre Giuseppe detto Pippo lavorava tutto il giorno era un operaio delle ferrovie dello Stato che dirvi… se qualcuno mi chiedesse chi è stato il tuo primissimo amore, risponderei MIO PADRE un connubio perfetto tra moralità e amorevolezza, dedizione e perfezione. La sua dote più grande, farti sentire a casa, emanava calore e ospitalità. L’unica pecca! Orgoglioso e affetto da pensiero Dicotomico. Non potrei definirlo altrimenti che la mia linfa vitale.

Mia madre Antonina detta “Nuccia” casalinga e cardiopatica sembra strano ma lo definisco anche questo ultimo come un tratto distintivo. Si ammalò alla mia nascita, si riprese per un miracolo Divino,( non è una frase metaforica, accaddero davvero episodi mistici riguardo la sua guarigione) ma purtroppo la malattia limitava anche una delle più futili azioni che avrei desiderato condividere, non l’ho mai sentita lamentarsi subiva tante frustrazioni, si sentiva in obbligo con la famiglia che l’ aveva accolta durante la malattia e decise di trasferirsi con noi li per darsi una mano reciproca. Si ammazzava di lavoro, io non riuscivo ad avere un bellissimo rapporto con lei c’è sempre stato qualcosa o qualcuno che ci allontanava, cercavo le sue attenzioni continuamente ma erano molto limitate spesso perché non aveva effettivamente tempo e alle volte per la pazienza non era quella la sua virtù, il suo pregio invece era quello di essere buona e ingenua alle volte talmente tanto da non capire i pericoli e dall’altra parte però testarda e poco paziente.

Nella stanza accanto seduto su di un vecchio divano in pelle marrone con il quotidiano tra le mani se ne stava mio zio Domenico, un infermiere di professione, scapolo, un uomo altamente generoso, ligio al dovere del lavoro, molto introverso ma noi ci comprendevamo solo con uno sguardo, forse un po polemico alle volte perché molto preciso, un secondo padre per me e mio fratello. Ci amava e ci viziava da esagerare.
Mio Fratello Dino il suo vero nome “Placido” che dirvi di lui, latitava fuori casa con gli amici dopo aver finito i compiti, era quasi invisibile e se invece presente petulante. Non abbiamo avuto mai un buon rapporto, da piccola cercavo di farmi coinvolgere, elemosinavo le sue attenzioni, avrei voluto sentirmi parte integrante della sua vita e delle sue amicizie, ma gli otto anni che ci separano non hanno permesso di trovare un appiglio. Non saprei dare una definizione al nostro rapporto so dirvi per certo al di la del suo atteggiamento che è sempre stato una persona estremamente generosa e poco paziente, doti credo regalate dal patrimonio genetico di mia madre. Numerosi tentativi sono stati fatti per trovare un appiglio ma con profonda amarezza devo dirvi che sembriamo non essere compatibili ma negli anni ho imparato a soprassedere alla bizzarria del suo carattere e facendo parlare il mio cuore mi godo i momenti che riusciamo a trovare un appiglio custodendoli caramente.


Nel pomeriggio la famiglia si allargava ancora un pochino era solito riunirsi da noi a vedere i programmi in tv, la casa si apriva alla nostra vicina Lilla, la consideriamo come una zia, mi dedicava parecchio tempo e nel momento del bisogno c’è sempre stata li a tenerci per mano, idem noi per lei. Cresciute sin da bambine ancora oggi insieme alla mamma si tengono compagnia, con lei c’era la madre Caterina detta “Ina” che affetta da demenza senile improvvisava nel più bello di un quiz televisivo o telefilm che seguivamo con apprensione musiche battute a ritmo di mani. Spesso la mattina mi trattenevano a casa loro e tra canzoncine cantate tutti insieme e filastrocche mi avevano insegnato un gioco che devo dire mi piaceva parecchio non saprei dirvi perché. Mettevo in ordine quintali di immaginette e statuette sacre e loro mi insegnavano che santi fossero.
La mattina e il pomeriggio non erano tali se non arrivava a un certo orario la Zia Gianna sorella di mamma, che dirvi di lei la MEDIATRICE di tutta la famiglia una figura professionale inesistente alla sua epoca dal quale dovrebbero trarne onore a lei e conferirgli la medaglia per tale conio. Riusciva a portare sempre l’equilibrio a casa nostra e se invece a casa sua tutto era concesso, brava cuoca, brava sarta, buffa, giocherellona, paziente e fuori dal comune. Passavo molto tempo insieme a lei è stata parte integrante fino qualche mese fa nelle nostre vite. Insieme a lei veniva a trovarci anche il marito lo zio Nino, il Maresciallo, ex maresciallo della polizia in pensione, uomo di altri tempi saggio, di grande forma di educazione, rispetto e generosità lo distinguevano. Nell’invecchiare ebbe solo una pecca negli anni si ammalò di una rara forma nevrotica.

Aveva solo una profonda gelosia verso la moglie, ma con tutti noi era la persona più sicura e presente che possa esistere, però il pensiero che facesse soffrire la zia con inconsce visioni ci rammaricava. Il mio spazio vitale era quasi nullo assorbivo come una spugna, discussioni e nozioni adulte, forse davvero troppo e quando qualcuno si accorgeva della mia saturità a riguardo riuscivo ad avere il permesso per andare a casa di una amica che abitava nel palazzo a fianco. A casa di Martina li nascevano le idee, dotati di una grande fantasia spesso i giocattoli neanche servivano. Si inventavano storie si viaggiava con la mente in un modo che credo non ne saremmo più capaci almeno io personalmente. Ricordo la soddisfazione nei nostri occhi nell’aver passato piacevolmente e produttivamente quelle ore insieme. M. era una bambina solare, spesso sulle spine da atteggiamenti inequivocabili da simil donna precoce assimilati da mimica materna. Ho un buon ricordo di lei, della sua famiglia. Mi piaceva osservare la madre truccarsi e prepararsi prima che si recassero a cene e feste, me ne stavo li e osservavo i volti che prendevano forma e dimensioni fiabesche e mi sembrava una novità paragonata al grigiore della routine che purtroppo la mia famiglia donava proporzionalmente in esubero di età senile.

Natale non poteva essere Natale se non arrivava da Pordenone mia zia Franca altra sorella della mamma, una gran chiacchierona, molto permalosa e bugiarda, questa ultima no perché lo volesse ma perché la sua indole la portava a fantasticare su eventi e situazioni col fine di raccontarli con una versione non proprio esatta. con lei anche il marito lo zio Antonino detto Nino lui invece un tipo molto permaloso, burbero e fanfarone. Da piccola non so cosa accadesse ma tra di noi c’era un’alchimia particolare, forse però con il senno di poi ho dedotto che nella mia incoscienza da bambina amassi il fatto che non prendesse mai la vita molto sul serio e proprio quella ventata di leggerezza mi colpiva poiché era una nota mancante dei membri già esistenti nella famiglia che gestivano tutto secondo regole etiche ben precise alle volte fondate altre invece solo dettate dalla loro un po’ retrograda mentalità. Li vedevamo solo a Natale e qualche settimana d’estate, proponevano in delle fiere internazionali le specialità della cucina Siciliana e intorno al venti di dicembre si presentavano con un furgone carico di delizie e regali, quando sentivo il clacson e il bussare sulla persiana il mio cuore si riempiva di gioia e sapevo che i pomeriggi sarebbero diventati più allegri e chiassosi, il natale poteva arrivare. Adoravo stare in cucina e vedere tutta la famiglia all’opera, ricordo come fosse ieri quegli odori. Tre sorelle e un fratello tutti diversi tra loro, me ne stavo sul tavolo in cucina con il mio solito quaderno davanti e mentre li osservavo esaminavo e scrivevo della loro buffa diversità caratteriale e ne traevo le mie personali impressioni.

La zia Franca mi dedicava parecchio tempo natale sinonimo di giochi a carte, grandi risate e poiché poco propensa ad accettare le sconfitte, tornato mio padre dal lavoro si univa a noi istigandola con smorfie divertenti. Finiva tutto con grandi risate. La mattina durante la mia infanzia era pura consuetudine vedere riunioni in casa di altre persone anziane che come da manuale venivano a trovare mia nonna limitando ancora di più i miei spazi. Mi affidavo al mio potere di osservazione e di deduzione personale che facevano si che il tempo passasse comunque produttivo per il mio sviluppo. La zia Carmela una vecchietta con il noto manto nero sulla testa di inverno in cotone d’estate, lavorava ai ferri e con mia nonna si raccontavano vicende anti guerra, in poche ore confezionava calzettoni in lana per la notte e mantelline per tutti. In tarda mattinata scendeva dal piano superiore la comare Concettina una donna un po’ sofisticata per i suoi tempi, generosa e molto legata alla mia famiglia e al senso del dovere. Qualche volta mi fermavo a casa sua a giocare con vecchi pupazzi delle figlie. Il primo pomeriggio interrompeva il mio breve riposino una cugina di mia nonna se non ricordo male di nome Mimma dopo un ictus non riusciva più a parlare e quelle poche parole le pronunciava in continuazione come un disco incantato e in un modo molto robotico che ricordo mi mettevano paura. Da tutto questo potpourri di personaggi ho sempre saputo che avrei avuto tanto da imparare e così infatti è stata la mia vita pervasa da una educazione ramificata in dei valori e in atteggiamenti di rispetto altrui che ormai sconosciuti nella nostra società diventano motivo di emarginazione, discriminazione e spesso di fraintendimenti. IL mio spazio vitale però in tutto questo si annullava alle volte totalmente e avendo avuto sin da piccina una grande capacità di razionalizzazione precoce ho sviluppato in me un’ arma a doppio taglio, consapevolezza uguale sofferenza. Tutto questo perdura in quasi tutte le mie esperienze di vita unito al grande rammarico per quella parte di innocenza, di infanzia che mi spettava prima che anche io facessi prendere il sopravvento nella mia fondata etica morale.
Grazie per avermi ascoltata, qualora lo vogliate mi troverete qui ho tanto ancora da raccontarvi…

