
Mio padre un amore infinito
“Anna c’è un tempo per tutto, un tempo per studiare, un tempo per giocare e un tempo per amare, al di fuori di quel tempo o perso quel tempo la strada la vedrai in salita e recuperare sarà dura…”
“Anna con me non devi mai avere paura ti proteggerò finché Dio vorrà.”
“ Anna mangia devi mangiare e diventa grande.”
“Nannina di papà sei sveglia? Facciamo colazione?”

Morali educative, affetto spropositato e amore incondizionato questo era mio padre. Mi ha accompagnata finché il Signore ha voluto nel percorso della mia crescita alle volte esasperando il nostro simbiotico rapporto. Lui rappresentava l’oasi di pace e placava il tumulto di contraddizioni che il mio animo provava ogni giorno, la caratteristica che ci accomunava era la perfezione o per lo meno la continua ricerca di essa, ma ciò che ci circondava tutto era al di fuori che perfezione. Più passano gli anni e più mi rendo conto che quello che so che ho imparato oltre la mia istruzione, lo devo a lui.
Aspettavo con ansia il suo ritorno, da piccina me ne stavo sveglia sulla culla e quando lui silenzioso a mezzanotte inoltrata entrava con le scarpe in mano io sussultavo da essa e allargandogli le braccia al collo gli dicevo vuoi il caffè te lo ho appena preparato facendo saltare da sotto il cuscino un piattino con una microscopica tazzina giocattolo, lui stanco mi sorrideva, sedeva sul letto prendeva il mio finto caffè e coccolandomi mi faceva tornare sotto le coperte.
Dentro me gongolavo dicevo a me stessa adesso mio padre è qui posso dormire e crollavo in un profondissimo sonno. L’indomani all’alba mi baciava io sentivo il calore del suo viso sul mio mi rimboccava le coperte e sapevo che era già ora che tornasse in servizio. D’estate invece rientrava nella pausa pranzo e io e mio fratello appena sentivamo il rumore della sua vespa gli correvamo incontro, una volta nel complesso ci montava entrambi su e girava orgoglioso per il cortile.
La domenica d’estate si andava al mare la sua prudenza a riguardo non aveva eguali, ora non troppo tarda, tre ore dalla colazione per il bagno, crema solare da per tutto, cappellino anche in acqua, braccioli e papà bodyguard vicino. Lui adorava farsi lunghe nuotate dopo aver fatto giocare noi allo sfinimento, spesso avvolta nel mio telo con la mia merenda tra le mani lo osservavo dal bagno asciuga.
Mezzogiorno puntuali si tornava a casa, doccia e il classico pranzo della domenica di almeno cinque portate. Nei pomeriggi d’estate si facevano lunghe passeggiate anche con la mamma che riusciva ad avere la libera uscita dallo ospizio per anziani che era casa nostra nella quale lei si prostrava a donna tutto fare per tutto il giorno. La sera dopo cena mi portava a prendere un gelato io e lui su di una vespa d’epoca mi sentivo come Odrie Hepburn in vacanze romane. Spesso nel periodo che precedeva il ferragosto restavamo fino all’alba a vedere esibizioni e gare di varie categorie di ballo liscio, folk, tornando a casa se ne commentavano le performance fino a crollare.

Mi chiamava la piccola adulta. Un’altra sua passione erano le foto amava fotografarci, se si svegliava con questa fissa finivamo tutto il giorno posando per lui, in questi periodi ricordo ne faceva parecchie. Le domeniche di inverno invece iniziavano con una ricca colazione e mentre io mangiavo prelibatezze lui suonava la fisarmonica e tra una ROSAMUNDA e un TANGO DELLE CAPINERE ci scambiavamo sorrisi.
Finita la colazione a prova di rigurgito mi prendeva per ballare (lui adorava ballare) e dalla cucina per tutto il corridoio fino alla stanza da pranzo si saltava a ritmo di polka o mazurka. Interrompeva le danze mia madre pronta con le asciugamani per farmi il bagno della domenica, ci si lavava tutti i giorni come non ci fosse un domani ma non ho mai capito perché il sabato e la domenica si dovesse accurare la cosa. Vestita con completi da piccola principessa mi accompagnava a messa e dopo al catechismo.

Alla fine delle funzioni si scappava mezzora a giocare nella nostra villa Mazzini passavo tutto il tempo sull’altalena e mio padre sempre con la sua etica mi insegnava che non potevo essere egoista appropriandomene invitandomi a lasciare spazio agli altri bambini e quando l’orologio scoccava l’una ci incamminavamo a prendere la nonna paterna che la domenica pranzava da noi accrescendo la nostra piccola tavola già in esubero.
Non la amavo molto quando veniva a trovarci, mi chiamo come lei ma non abbiamo mai avuto una grande affinità, mi sforzavo per non recare un dolore ma continuava a disprezzare noi tutti e aveva una profonda gelosia verso mio padre. Lui però da figlio per bene e amorevole, la adorava e non riusciva a osservare le vicende con obiettività e tutte le contraddizioni che vi erano. Dopo un breve riposino di inverno mia madre bigiava il suo dovere di accompagnatrice, io e lui allora armati di scarpe comode partivamo a piedi da casa.
Camminando si facevano numerose soste, si passava dal teatro e mentre c’erano in scena varie opere LA MADAMA BUTTERFLY, LA CAVALLERIA RUSTICANA, entravamo a vederne un po’ grazie ad un amico che lavorava li, quando stufo mi prendeva per mano e si passava in galleria per vedere una qualche mostra di autori sconosciuti il quale mio padre si cimentava in spiegazioni dettagliate su pennellature, luci e ombre, adorava l’arte e la interpretava a modo suo, spesso con degli errori ma adoravo quando si impettiva pieno di conoscenza lo osservavo con un buffo sorriso ma infinito orgoglio.
Se nei dintorni c’era un antiquario aperto la serata si concludeva con un tour di mobili antichi e statue di CAPODIMONTE. Sognava di poter comperare una grande casa e arredarla con una selezione di questi, spesso si sfogava con me raccontandomi su quanto fosse grato alla famiglia di mia madre per averli aiutati quando lei fu gravemente ammalata e noi piccini ma sognava in quella fase della sua vita di poter unire tutta la famiglia in una casa più comoda che donasse un futuro sereno a tutti noi e abbattere quei limiti che recavano dispiacere.
Rientravamo tardi, il resto della famiglia aveva già cenato compreso mio fratello, mia madre ci aspettava seduta in cucina davanti la tv, si preparavano cose veloci e appetitose la domenica sera. Per esempio una grande pagnotta casereccia imbottita con mortadella il suo salume preferito, carciofi i miei preferiti, e formaggio il preferito di mamma, la si tagliava in parti uguali e l’addentavamo guardando insieme un film divertente. Non desideravo altro che questa semplicità nella mia vita ma spesso per il fatto di essere tanti ognuno con le proprie esigenze ed età non sempre era possibile e io vivevo aspettandole con estrema ansia.

Non era un padre rigido sugli orari andavo a letto quando andavano loro forse perché non ho mai fatto storie l’indomani per alzarmi ero molto ubbidiente. Il sabato era la mia gioia e quella della settimana, mio padre mi ha sempre insegnato che il sabato era quel giorno dove infervoravano i preparativi per l’indomani DOMENICA dì di festa e quindi di conseguenza era felicità, allegria.
Poi studiai a scuola il sabato del villaggio del Leopardi e li mio padre mi parve un idolo capii perfettamente il senso delle sue parole e di quei preparativi e sentivo davvero la gioia di essi, da allora ancora oggi provo quella sensazione di benessere in quella giornata e finchè potrò cercherò di mantenere quelle tradizioni.
Uscita da scuola lo vedevo accogliermi a braccia aperte e lungo il tragitto verso casa mi elencava tutto quello che avremmo fatto e io non stavo nella pelle, dopo pranzo andavo a giocare a casa di una amica, nel pomeriggio mi passava a prendere e mi portava a casa della zia Gianna li dopo giochi e divertimenti vari mi facevo un bagno schizzando da per tutto e lottando con la schiuma con lei.
Mio zio mi riscaldava i vestiti sulla stufa e li dava passandoli dalla porta a mia zia e coccolata mi rivestivo, passavamo in salone e mentre mi insegnava a fare i cruciverba con il suo metro tra le mani mi prendeva le misure per confezionarmi altri deliziosi abiti, prendeva giornali e carta modelli e con il suo aiuto ne ritagliavamo le sagome mentre cantavamo stonate e sorridenti vecchie canzoni.
In serata veniva a prendermi mio padre e mi portava a giocare il totocalcio e mi lasciava compilare una schedina diceva che gli avrei portato fortuna un giorno all’altro, poi mi comprava delle caramelle e mi raccomandava di non mangiarle tutte io ubbidivo come sempre a tutte le sue regole che per me erano legge, parte della Costituzione Italiana. Nella strada verso il ritorno si sceglieva il menù per cena e si elencava tutti i programmi che avremmo visto in tv quella sera.
Iniziata la cena si faceva zapping tra il Bagaglino, la Corrida, i grandi show del sabato sera sui primi canali. Quando tutti andavano a dormire con un pacco di biscotti e il vasetto di marmellata tra le mani avvolti nelle nostre vestaglie la sua scozzese sul marrone con dei pon pon sulla cinta in stile ottocentesco e la mia rosa confetto ci accucciavamo sul divano guardando una selezione di film di Lino Banfi facendoci grandi risate. Mi sentivo così protetta, anche se la nostra famiglia aveva attraversato e attraversava tanti problemi credevo che accanto a lui non mi sarebbe mai capitano nulla di grave.
Quasi all’alba dormienti entrambi andavamo a letto spesso mi addormentavo ed era costretto a portarmici e avvolta tra mille coperte mi abbandonavo a quel sentirmi esausta e felice. La notte si svegliava in continuazione nelle sere di inverno rigide e veniva a controllare me e mio fratello se fossimo coperti ho amato e odiato quei momenti perché alle volte finiva per svegliarci spaventandoci, adesso pagherei per riprovare questa sensazione.
Un giorno tornò a casa entusiasta, prese la decisione di andare in pensione prima grazie a una legge che glielo permetteva, non stava nella pelle all’idea di poterci seguire e viverci di più. Ma li fu la fine qualche anno dopo essere andato in pensione si ammalò. Iniziò un calvario lunghissimo negli ospedali. Aveva coliche implacabili lo ricoveravano per fare lunghe cure. In quella casa senza lui mi sentivo sola anche se tutti cercavano di starmi vicino, nessuno però era come lui, nessuno sapeva colmare le mie ansie e le mie paure come il suo sorriso.
Uscita da scuola mi facevo accompagnare in ospedale e mentre lui era attaccato a interminabili flebo io sedevo li e facevo i miei compiti. La sera ci raggiungeva mia madre portandomi la cena perché io avrei cenato con lui. Dopo un lungo e doloroso periodo venne operato d’urgenza a ridosso della mia prima comunione. Questo avrebbe implicato l’ennesima mia rinuncia, che non accettavo così facilmente. Mi chiedevo perché ogni tappa importante della mia vita dovesse essere accompagnata da rinunce e dispiaceri.

Tre giorni dopo si fece dimettere lo portarono a casa ancora attaccato a dei drenaggi e punti di sutura tornò il giovedì sera per far si che potessimo preparare tutto per la mia prima comunione e tornare in ospedale lunedì. Con la forza di un leone mi portò a organizzare ciò che mancava in soli tre giorni, regalandomi una principesca festa. Adoravo quelle forti emozioni e essere la festeggiata ma sapete quale fu la cosa più bella? Il suo sguardo, mi fissava con il sorriso sulle labbra, ad ogni tappa della mia vita era così un fermo immagine e io me ne stavo stupida e pensavo che mai nessuno nella vita avrebbe mai potuto amarmi così.
Numerosi anni a seguire passarono facendo via vai dagli ospedali subendo un intervento dietro l’altro. Trascorrevo le giornate al telefono se non era possibile andarlo a trovare lo tenevo aggiornato sulle mie novità e sulla scuola, lo pregavo di tornare presto e le telefonate finivano sempre con stai attenta alla mamma. Quando compì 8 anni mi ammalai all’improvviso dei mal di testa lancinanti e invalidanti mi colpivano nelle giornate invalidando tutte le mie attività. Dopo anni di ricerche, girando quasi il mondo, una diagnosi venne data ai miei genitori trovarono una anomalia circolatoria ereditaria rarissima e irreversibile.
Nessuna cura all’epoca quelle esistenti le provai peggiorando solo la mia situazione. Mi limitò nelle normali attività che tutti i bambini facevano alla mia età, le crisi di dolore aumentavano con lo sforzo e spesso per non subire un trauma a questo lui cercava di mediare alla sua maniera. Si inventava attività che non alimentassero le crisi se invece il dolore aumentava rendendomi un vegetale se ne stava accovacciato ai piedi del mio letto tranquillizzandomi con buffi racconti, coinvolgendomi con giochi a carte aspettando che le medicine facessero effetto e che la crisi di dolore passasse prima di allontanarsi.
Dopo anni di rinunce accettò di farmi riprendere la danza disciplina che adoravo, quel giorno felice ci incamminammo e nel tragitto una donna ci investì con l’auto, superammo anche questa. La sera quando veniva a riprendermi sbirciava dal vetro la lezione fiero e alle volte critico delle mie performance. Li avevo quasi 11 anni si rese conto che stavo crescendo divenendo alle volte anche senza motivo più severo. Sognavo ad occhi aperti un po’ di libertà ma con la sua benedizione importante per me. Non fu facile… iniziò così un lungo periodo di transizione…
continua…
Grazie per avermi ascoltata, qualora lo vogliate mi troverete qui ho tanto ancora da raccontarvi…

